Post by Leonardo SerniPost by DaverioPost by Leonardo SerniAddirittura io sono favorevole a che la gente provi terapie tipo,
che so, l'acqua basica. Con tre sole condizioni: fornendo dati
medici validi, per aiutare a stabilire come e quando (e se)
funziona; lo Stato rimborsa solo ove la terapia funzioni; e la
percentuale di successi, ottenuta dai dati, deve essere nota al
paziente PRIMA di iniziare la cura.
Sono contrario invece a che uno propagandi una cura - fosse anche
solo "A me tirando un calcione al case si e' unfreezato SuperCAD!"
- come il top, quando in realta' ci sono i due-tre casi eclatanti
che anche i *calcioni* possono vantare, e la regola pero' e' che
non funziona (o addirittura non ci sono neanche le BASI per dire
"c'e' una regola").
Insomma, io non credo che la cura a base di bicarbonato sviluppata
dal dr. Simoncini curi "tutti" i tumori.
Ma, applicando il suo protocollo e seguendo suo metodo "alcuni" tipi
di tumori si!
E' possibile. Di uno che mi dicesse che cura "alcuni" tumori (vorrei
farti notare che Simoncini e soprattutto i suoi esegeti dicono
"tutti") tenderei addirittura a fidarmi piu' che di uno che millanti
di guarirli "tutti".
Dato il thread kilometrico intervengo su una tua risposta, ma non mi rivolgo
a te in modo specifico, per cui non te la prendere.
Prima di sparare giudizi generici, ma non mi rivolgo a te ma a tutto il
consesso pro e contro, sarebbe bene leggere bene quanto scritto a proposito
della teoria e della cura di Simoncini.
Dato che nessuno sembra averlo fatto copio e orribilmente incollo a
beneficio della comune meditazione:
Qui di seguito vengono riportati alcuni aspetti teorici della
teoria del Dr. Simoncini che sono segnalati nel sito www.mednat.org
"La mia idea è che essi non dipendano da misteriose cause
genetiche, immunologiche, auto immunologiche, come propone la medicina
ufficiale, fatti mai dimostrati, ma che piuttosto derivino da una semplice
aggressione fungina, non visualizzata, né studiata nella sua dimensione
intima connettivale. Durante i molti anni in cui ho studiato i tumori, cioè
le atipiche colonie fungine, ho potuto constatare che l'unico mezzo per
distruggerle ed impedire che si rinnovino, consiste nel somministrare forti
concentrazioni di sali, in particolare modo Bicarbonato di Sodio, da far
assumere in maniera peculiare rispetto alla sede del cancro.
Non a caso, egli continua, se si osserva bene il comportamento
in natura dei funghi, si nota che essi non attecchiscono mai in prossimità
di luoghi fortemente salini, ad esempio in vicinanza di sacche idriche
termali ecc....La mia terapia, cioè il trattamento con i sali, è da
combinare con una terapia ricostituente contemporaneamente al trattamento
con i sali; i cancri sono derivati dai funghi come la sclerosi multipla e la
psoriasi ed oggi li si può trattare solo con i sali".
Estratto:
Il presente lavoro intende richiamare l'attenzione sul possibile
ruolo eziologico dei funghi nella malattia tumorale, in particolare della
Candida Albicans.
Partendo difatti dalla loro infinita capacità di adattamento a
tutti i substrati biologici, nonché dalla loro estrema potenzialità
patogena, di molto superiore ad ogni altro micro-organismo, non risulta
ormai più accettabile una loro collocazione in quello spazio indefinito e
indefinibile che comprende i cosiddetti patogeni occasionali.
Se, come è noto, i funghi sono in grado di attaccare qualsiasi
sostanza organica, specialmente quella in via di degradazione, allora è
possibile ipotizzare un loro attecchimento nell'intimità dei tessuti,
laddove particolari condizioni contingenti lo permettano.
Un trattamento finalizzato alla loro eradicazione deve quindi
tenere conto sia della loro diffusibilità che della loro complessità
biologica, cosa che non può essere ottenuta oggi né con le terapie oncologic
he, né tantomeno con quelle antimicotiche.
Vengono illustrati 7 casi, trattati in maniera peculiare e
risolutoria con il bicarbonato di sodio, una sostanza alcalina molto
diffusibile e quindi notevolmente attiva contro la Candida in tutte le sue
manifestazioni; essi possono indicare un nuovo modo di procedere in campo
oncologico.
Solo abbandonando la tesi oncologica universalmente condivisa,
che il tumore cioè derivi da un'anomalia riproduttiva cellulare, e
reimpostando tutta la ricerca in un'ottica infettiva micotica, è lecito
sperare nella definitiva sconfitta del cancro.
Premessa:
Lo scritto che si propone trova la sua ragione d'essere nella
convinzione, supportata da tanti anni di studi, osservazioni, riscontri ed
esperienze cliniche, che la causa necessaria e sufficiente del tumore vada
ricercata nell'immenso mondo dei funghi, i micro-organismi più adattabili,
più aggressivi e più evoluti che si conoscano in natura.
Varie volte ho tentato di trovare ascolto presso gli organi
istituzionali competenti (Ministero della sanità, Istituto Nazionale Tumori,
Associazione oncologica medica italiana, ecc.) esponendo il mio sistema di
pensiero e di cura; non essendo io risultato inquadrabile, però, in un
contesto convenzionale, e quindi non ritenuto credibile, sono stato
semplicemente accantonato.
Un areopago diverso da quelli già sondati, rappresenta la
speranza di avere la possibilità di divulgare una concezione sulla salute
diversa da quelle del panorama medico attuale, sia dalle posizioni ufficiali
che da quelle definite collaterali.
Nella contrapposizione difatti tra un ideale medico allopatico e
un ideale che si definisce di stampo prettamente ippocratico, esiste oggi
una situazione in cui agli uni viene addebitata l'incapacità di considerare
l'individuo in maniera globale, con tutte le distorsioni e aberrazioni
connesse con un simile modo di vedere (superspecialismo, aggressività
terapeutica, superficialità, nocività ecc.); agli altri viene rimproverato
il carattere di non scientificità, di genericità, di mancanza di incisività
terapeutica.
La posizione da me propugnata invece rappresenta il punto di
incontro tra le due impostazioni sanitarie descritte, in quanto sotto il
profilo concettuale le valorizza e le sublima entrambe, evidenziando come in
realtà siano vittime di un comune linguaggio conformista.
L'ipotesi difatti di una eziopatogenesi fungina nelle malattie
cronico-degenerative del nostro tempo, essendo in grado di congiungere i
contenuti etici dell'individuo con lo sviluppo di patologie specifiche,
rende ragione delle due anime della medicina, quella allopatica e quella
olistica, proponendosi così con forza come quell'anello mancante della
psicosomatica tanto ricercato da uno dei suoi padri, Wiktor Von Weiszäcker,
ma mai trovato.
Nella dimensione biologica dei funghi ad esempio, è possibile
rapportarne i diversi gradi di patogenicità relativamente allo stato degli
organi, dei tessuti, delle cellule di un organismo ospite, a sua volta
dipendente anche e soprattutto dal comportamento dell'individuo.
Ogni volta che si superano le capacità di recupero di una
determinata struttura psicofisica, inevitabilmente, pur con le eventuali
concause accidentali, ci si espone all'aggressione (fin nelle dimensioni più
intime) di quegli agenti esterni che altrimenti rimarrebbero innocui.
Esistendo quindi un nesso indubitabile tra morale e malattia,
non appare più lecito tenere distinti due domini (allopatico e naturopatico)
che risultano ambedue indispensabili per il miglioramento della salute degli
individui.
La scissione platonica dell'uomo in anima e corpo, rea dell'
attuale nefasta impostazione meccanicistica e fisicalista della medicina
attuale, così come pure la pessimistica posizione Kantiana riguardo a un'
integrazione tra contenuti razionali e passionali dell'individuo ("il cielo
stellato sopra di me, la legge morale dentro di me"), generatrice dell'
attuale miope epistemologia medica, hanno fatto ormai il loro tempo, e con
esse tutti i sistemi di pensiero derivati da simili impostazioni teoriche
restrittive e riduttive.
Candida Albicans: causa necessaria e sufficiente del tumore:
Nell'affrontare il problema medico odierno più urgente, il
tumore, la prima cosa da fare è riconoscere che ancora non si conosce la sua
vera causa.
Pur se trattato difatti in vari modi, sia dalla medicina
ufficiale che da quelle collaterali, permane tuttora un alone di mistero sul
suo reale processo di generazione.
Il tentativo di superare lo stato di impâsse attuale deve allora
necessariamente passare per due fasi: una critica, che metta a nudo i limiti
dell'attuale oncologia, l'altra propositiva che esponga un sistema di cura
basato su nuovi presupposti teorici.
In accordo con le più recenti impostazioni di filosofia della
scienza, che suggeriscono un atteggiamento controinduttivo (1) laddove sia
impossibile trovare una soluzione con gli strumenti concettuali comunemente
accettati, emerge, come unica impostazione logica ammissibile, quella di
rifiutare il principio su cui si fonda l'oncologia, cioè che il tumore sia
determinato da un'anomalia riproduttiva cellulare.
Se si mette in discussione però una simile ipotesi di partenza,
appare chiaro come tutte le teorie che da essa derivano, risultano
inevitabilmente improponibili.
Ne consegue che sia un processo autoimmunologico, secondo il
quale gli elementi preposti alle difese contro gli agenti esterni
indirizzano la propria capacità distruttiva nei confronti dei costituenti
interni, sia un'anomalia della struttura genetica, che prevederebbe uno
sviluppo implicito in direzione autodistruttiva, risultano inevitabilmente
squalificati.
Tentare poi, come spesso accade, di propugnare una teoria della
pluricausalità con effetto oncogeno sulla riproduzione cellulare, ha più il
sapore di un inane paravento dietro il quale purtroppo non s'intravede via d
'uscita, dal momento che proporre infiniti motivi più o meno associati fra
loro significa in realtà non individuarne nessuno valido.
Invocare così di volta in volta il fumo, l'alcool, le sostanze
tossiche, le abitudini alimentari, lo stress, gli influssi psicologici ecc.,
in mancanza di direttive produce solo confusione e rassegnazione, con il
risultato di ammantare di mistero una malattia che potrebbe essere alla fin
fine molto più semplice di come la si dipinge.
A titolo informativo è utile svelare poi, una volta per tutte,
il quadro delle presunte influenze genetiche nello sviluppo dei processi
tumorali, così come sono descritte dai biologi molecolari (di quegli
studiosi cioè ai quali compete la ricerca degli infinitesimi meccanismi
cellulari vitali, ma che in realtà non hanno mai visto un paziente), e sul
quale si basano tutti i sistemi medici attuali, e quindi ahimè tutte le
terapie attuali.
L'ipotesi portante di una causalità genetica in senso
neoplastico si riduce essenzialmente al fatto che le strutture e i
meccanismi preposti alla normale attività riproduttiva cellulare, per cause
imprecisate assumono in un determinato momento un atteggiamento autonomo e
svincolato rispetto alla globale economia tissutale.
I geni allora che normalmente svolgono un ruolo positivo nella
riproduzione cellulare, vengono chiamati proto-oncogeni in un ottica
deviata; quelli che la inibiscono, sono chiamati geni soppressori o oncogeni
recessivi.
Fattori cellulari sia endogeni (in realtà mai dimostrati), sia
esogeni, cioè tutti quegli elementi cancerogeni usualmente invocati, vengono
ritenuti responsabili della degenerazione neoplastica dei tessuti.
Nello J. H. Stein (Milano 1995) viene riportato quanto segue:
I segnali mitogenici, dal microambiente o da aree di influenza
più distanti, vengono comunicati alle cellule attraverso numerose strutture
recettoriali associate alla membrana plasmatica.
Tra queste strutture, le più esaurientemente studiate sono i
recettori con un dominio esterno per il legante, un dominio transmembrana e
un dominio citoplasmatico avente attività tirosinchinasi.
Oltre a questi si pensa che almeno sette distinte classi di
molecole partecipino alla trasmissione del segnale mutageno:
1) Recettori accoppiati a proteine G.
2) Canali ionici.
3) Recettori con attività intrinseca guanilato ciclasi.
4) Recettori per molte linfochine, citochine e fattori di
crescita (interleuchina, eritropoietina, ecc.).
5) Recettori per l'attività fosfotirosina fosforilasi.
6) Recettori nucleari appartenenti alla famiglia supergenica del
recettore per gli ormoni steroidei, estrogeni, tiroidei.
7) Infine prove sempre più numerose suggeriscono che le molecole
di adesione espresse sulle superfici delle cellule comunicano con il
microambiente in modi che producono conseguenze molto importanti sulla
crescita e sulla differenziazione cellulare.
Ad un analisi appena superficiale di questo presunto quadro
oncogeno, però, sembra evidente come tutta questa irrefrenabile iperattività
genetica, partorita da elementi che stanno al confine tra l'oscuro ed il
mostruoso, e che quindi fanno presagire chissà quali meccanismi abissali
decifrabili con meccanismi concettuali altrettanto abissali, non può far
altro che svelare l'abissale idiozia che sta alla base di un simile modo di
impostare le cose.
Il fatto ancor più grave poi, è che nessuno nel panorama
sanitario attuale mette in dubbio siffatte imbecillità, ma tutti gli addetti
ai lavori non fanno altro che ripetere la stantia litania dell'anomalia
riproduttiva cellulare su base genetica.
In questo stato di cose allora, esibendo la teoretica medica
attuale una pochezza e una superficialità queste si abissali, conviene
cercare nuovi orizzonti e strumenti concettuali, in grado di far emergere la
reale ed unica eziologia neoplastica.
Dopo tanti anni di fallimenti e di sofferenze, è ora di
svecchiare menti e mentecatti (in senso etimologico), con linfa nuova e
produttiva: i misteriosi e complicati fattori genetici, la mostruosa
capacità riproduttiva di un'entità patologica capace di scompaginare
qualsiasi tessuto, l'implicita ancestrale tendenza dell'organismo umano a
deviare in senso autodistruttivo o altre simili argomentazioni, condite
peraltro con una quantità di "se" e di "forse" di valore esponenziale, hanno
più il sapore della farneticazione piuttosto che del sano discorso
scientifico.
Una volta però rifiutate tutte le attuali prospettive
oncologiche, è legittimo chiedersi come debbano essere inquadrati i successi
ottenuti dalla medicina ufficiale ed eventualmente dalle correnti
alternative.
A tal proposito è utile ricordare che l'odierna epistemologia ha
dimostrato come i contributi di causalità degli elementi contestuali e
co-testuali di una teoria, se indefinibili, sono aleatori, specialmente
nello spazio ultradimensionale.
Ciò significa in pratica che i dati o facts positivi e ritenuti
probanti riguardo a un principio di base (ad esempio la citata anomalia
riproduttiva cellulare), ottenuti utilizzando un numero di variabili
ristretto rispetto alla complessità della malattia umana, non sono
affidabili, dal momento che dipendono esclusivamente dalle condizioni
iniziali ipotizzate.
Laddove si ammette difatti la possibilità di miglioramenti e
guarigioni, sotto il profilo logico non è ammissibile attribuirli a questo o
quel metodo di cura più o meno ufficiale, dal momento che, non potendo
essere specificate e comprese tutte o la maggior parte delle componenti che
entrano in giuoco nell'oggetto uomo, non possono sussistere condizioni di
decidibilità assoluta.
Paradossalmente, l'eventuale effetto positivo di ciascun sistema
terapeutico potrebbe discendere da elementi sconosciuti a tutti e non
preventivati, i quali però, potrebbero essere influenzati o determinati in
qualche misura da ognuno di essi.
Ci si troverebbe cioè nella condizione in cui tutti avrebbero a
ragione il diritto di magnificare il proprio punto di vista, pur non
conoscendo nessuno il vero motivo dei propri successi.
In questo caso allora anche la più accurata e rigorosa
sperimentazione assume un carattere finzionale piuttosto che di vera
corrispondenza con la realtà, risultando alla fine come una continua sterile
petitio princìpi.
Accantonata completamente perciò la cornice concettuale dell'
odierna oncologia, con tutte le varianti interpretative d'ordine genetico,
immunologico, tossicologico, rimane come unica via logicamente esperibile,
quella delle malattie infettive, da guardare eventualmente, e da
riconsiderare, con occhi diversi da come è stata considerata fino ad oggi.
Confortano peraltro una simile conclusione due considerazioni,
una di ordine storico e una di ordine epidemiologico: la prima risulta dal
fatto che nell'approccio terapeutico al malato il salto di qualità, la
possibilità cioè di curarlo concretamente, è stato determinato quasi
esclusivamente dallo sviluppo della microbiologia; la seconda discende dall'
analisi del prolungamento della vita media verificatosi negli ultimi
decenni, il quale, essendo associato a un inevitabile cambiamento nella
reattività degli individui, si può ipotizzare come un fattore determinante
nello sviluppo di patologie infettive atipiche.
Per trovare allora l'eventuale ens morbi cancerogeno nell'
orizzonte della microbiologia, appare utile risalire preliminarmente ai
concetti tassonomici di base della biologia, dove ci si accorge che esiste
un notevole grado di indecisione e di indeterminazione.
Già nel secolo scorso difatti un biologo tedesco, Ernesto
Haeckele (1834-1919), partendo dal concetto linneiano che fa dei viventi due
grandi regni -quello dei vegetali e quello degli animali- aveva denunciato
la difficoltà di sistemazione di tutti quegli organismi microscopici che per
le loro caratteristiche e proprietà non potevano essere attribuiti o al
regno animale o a quello vegetale, e per i quali aveva proposto un terzo
regno denominato dei Protisti.
"Questo vasto e complesso mondo muove da entità a struttura
subcellulare - siamo al limite della vita- quali i viroidi e i virus, per
arrivare, attraverso i micoplasmi, ad organismi di più elevata
organizzazione: batteri, attinomiceti, mixomiceti, funghi, protozoi e, se si
vuole, anche qualche alga microscopica." (1).
L'elemento comune a questi organismi è il sistema di
alimentazione, che, compiendosi (salvo poche eccezioni) per diretto
assorbimento di composti organici solubili, li differenzia sia dagli
animali, che si nutrono ingerendo anche e soprattutto materiali organici
solidi trasformati poi con i processi della digestione, sia dai vegetali
capaci, partendo da composti minerali e utilizzando energia luminosa, di
sintesi della sostanza organica.
La tendenza attuale dei biologi riprende, sia pure perfezionato,
il concetto del terzo Regno; qualcuno però va ancora più oltre, argomentando
come in esso i Funghi debbano figurare in una diversa sistemazione.
Se poniamo -così difatti riferisce O. Verona (2)- nel primo
regno gli organismi pluricellulari dotati di capacità fotosintetiche
(piante) e nel secondo gli organismi sprovvisti di pigmenti fotosintetici
(animali), gli uni e gli altri costituiti da cellule provviste di nucleo
distinto (eucarioti); e, in addizione, poniamo in altro regno (Protisti) gli
organismi monocellulari sprovvisti di clorofilla e con cellule prive di
nucleo distinto (procarioti), i Funghi possono costituire un loro Regno per
l'assenza di pigmenti fotosintetici, l'essere mono ma anche pluricellulari
e, infine, possedere nucleo distinto.
Di più, rispetto a tutti gli altri micro organismi possiedono
una strana proprietà, quella di avere una struttura di base microscopica (l'
ifa), e nel contempo la tendenza ad assumere notevoli dimensioni (perfino di
molti kg.), rimanendo invariata la capacità di adattamento e di
riproduzione ad ogni livello di grandezza.
In questo senso perciò non possono essere considerati
propriamente come organismi, ma come aggregati cellulari sui generis con
comportamento organismico, dal momento che ciascuna cellula mantiene intatte
le proprie potenzialità di sopravvivenza e di riproduzione,
indipendentemente dalla struttura in cui è inserita.
Risulta chiaro, perciò, come sia estremamente arduo identificare
in tutti i suoi processi biologici delle realtà viventi così complesse, tant
'è che permangono a tutt'oggi in micologia enormi lacune e approssimazioni
di carattere tassonomico.
Vale la pena allora soffermarsi più approfonditamente su questo
strano mondo dalle caratteristiche così peculiari, cercando di sottolineare
quegli elementi in qualche modo attinenti con una problematica oncologica.
1) I Funghi sono organismi eterotrofi e pertanto abbisognano,
con riferimento al carbonio e all'azoto, di composti preformati, di cui i
carboidrati semplici, ad esempio i monosaccaridi (glucosio, fruttosio,
mannosio) sono gli zuccheri più di altri utilizzati.
Ciò significa che nel loro ciclo vitale dipendono da altri
esseri viventi, che in varia misura debbono essere sfruttati, sia in
maniera saprofitica ( nutrendosi di scorie organiche) che in maniera
parassitaria (attaccando direttamente i tessuti dell'ospite), per esigenze
alimentari.
2) Presentano una grande varietà di manifestazioni riproduttive
(sessuali, asessuali, per gemmazione, spesso tutti osservabili in un unico
micete), unita a una grande varietà morfostrutturale dei relativi organi,
finalizzate alla formazione delle spore cui è affidata la continuazione e la
diffusione della specie.
3) E' possibile osservare frequentemente in micologia un
particolare fenomeno, denominato etrocariosi, caratterizzato dalla
coesistenza di nuclei normali e nuclei mutati, in cellule che hanno subito
una fusione ifale.
Oggigiorno esiste una grossa preoccupazione, da parte dei
fitopatologi, per la formazione di individui geneticamente anche molto
diversi dai genitori, attuatasi mediante tali cicli riproduttivi definiti
parasessuali.
L'uso indiscriminato di fitofarmaci difatti ha spesso
determinato mutazioni dei nuclei di molti funghi parassiti, con conseguente
formazione di eterocarion talvolta particolarmente virulenti nella loro
patogenicità.(3).
4) Nella dimensione parassitaria i funghi possono sviluppare
dalle ife delle strutture specializzate a forma di rostro più o meno
ristretto (l'appresssorio e l'austorio), che permettono la penetrazione nell
'ospite.
5) La produzione di spore può essere così abbondante da
comprendere sempre, ad ogni ciclo, decine, centinaia e perfino migliaia di
milioni di elementi che possono essere dispersi a notevole distanza dal
punto di emissione (4) (basta ad esempio un piccolo movimento, per
determinarne l'immediata diffusione).
6) Le spore possiedono una resistenza enorme alle aggressioni
esterne, essendo capaci di rimanere dormienti, se le condizioni ambientali
non lo consentono, per molti anni, conservando inalterate le potenzialità
rigenerative.
7) Il coefficiente di sviluppo degli apici ifali, dopo la
germinazione è estremamente veloce (100 micron al minuto in ambiente
ideale), con una capacità di ramificazione e quindi con la comparsa di una
nuova regione apicale che in qualche caso si aggira sull'ordine dei 40-60
secondi (5).
8) La forma del fungo non è mai definita, essendo imposta dall'
ambiente in cui si sviluppa.
E' possibile osservare ad esempio uno stesso micelio allo stato
di semplici ife isolate in ambiente liquido, oppure in forma di aggregazioni
via via sempre più solide e compatte, fino alla formazione di
pseudoparenchimi (stromi) e di filamenti e cordoni miceliari (rizomorfe).(6)
Parimenti è possibile constatare in funghi diversi la stessa
forma, laddove si debbano uniformare allo stesso ambiente (è il cosiddetto
fenomeno del dimorfismo).
9) La parziale o totale sostituzione delle sostanze nutritive
induce frequenti mutazioni nei funghi, che testimoniano l'accentuata
adattabilità a tutti i substrati.
10) Quando esistono condizioni nutrizionali precarie molti
funghi reagiscono con la fusione ifale (tra funghi vicini), che consente
loro di esplorare più facilmente e con processi fisiologici più completi il
materiale a disposizione.
Tale proprietà, che sostituisce alla competizione la
cooperazione, li fa distinguere da ogni altro micro organismo e per questo
Buller li chiama organismi sociali.(7)
11) Nel caso in cui una cellula invecchi o venga danneggiata (ad
esempio da sostanze tossiche), molti funghi i cui setti intercellulari sono
dotati di un poro, reagiscono con l'attuazione di un processo di difesa
chiamato flusso protoplasmatico, mediante il quale trasferiscono il nucleo e
il citoplasma della cellula danneggiata in una altra sana, conservando
inalterate le proprie potenzialità biologiche.
12) I fenomeni di regolazione dello sviluppo di ramificazione
ifale, tuttora sconosciuti (8), consistono o in uno sviluppo ritmico o nella
comparsa di settori, che, pur prendendo origine dal sistema ifale, sono
autoregolati (9), cioè indipendenti dalla regolazione e dal comportamento
del resto della colonia.
13) I funghi sono in grado attuare un'infinità di modificazioni
al proprio metabolismo per vincere i meccanismi di resistenza dell'ospite,
rappresentati da azioni plasmatiche e biochimiche, oltre che da aumento
volumetrico (ipertrofia) e numerico (iperplasia) delle cellule colpite.(10)
14) Sono dotati di una tale aggressività da attaccare oltre che
piante, tessuti animali, derrate alimentari, altri funghi, anche protozoi,
amebe e nematodi.
La caccia a questi ultimi ad esempio si attua con particolari
modificazioni ifali che costituiscono delle vere e proprie trappole
miceliari, ad intreccio, vischiose, o ad anello, che portano all'
immobilizzazione dei vermi e alla susseguente invasione ifale.
In certi casi la potenza aggressiva fungina è così alta da
consentire, a un anello cellulare formato da sole tre unità, di stringere,
imprigionare ed uccidere una preda in poco tempo malgrado i suoi disperati
scuotimenti.
Dalle brevi notazioni suesposte dunque, sembra giusto dedicare
una maggiore attenzione al mondo dei funghi, specialmente in considerazione
del fatto che biologi e microbiologi in quasi tutte le descrizioni e
interpretazioni sulla loro forma, fisiologia e riproduzione, evidenziano
costantemente delle lacune e dei vuoti di conoscenza di vaste proporzioni.
Una causa vera perciò, estremamente logica della proliferazione
neoplastica, sembra risiedere proprio in un fungo, nel più potente cioè e
nel più organizzato micro organismo che si conosca, e probabilmente in quei
Funghi Imperfetti (così denominati a motivo della disconoscenza e dell'
incomprensione dei loro processi biologici), la cui prerogativa essenziale
risiede nella loro capacità fermentativa.
Entro l'esiguo raggruppamento dei funghi patogeni, dunque, si
può nascondere la più grave malattia per l'uomo, localizzabile ormai solo
con alcune facili deduzioni in grado di concludere il cerchio fino alla
soluzione.
Considerando perciò, tra le specie parassite umane, che
Dermatofiti e Sporotrichum dimostrano una morbosità troppo specifica, e che
Attinomiceti, Toluropsis e Histoplasma per esperienza entrano in un contesto
patologico molto raramente, ecco che emerge nitidamente la Candida Albicans,
come unico responsabile della proliferazione tumorale. E in effetti,
riflettendo un momento sulle sue caratteristiche, non poche analogie emergon
o con la malattia neoplastica, quali tra le più evidenti:
1) Attecchimento ubiquitario; non viene risparmiato praticamente
nessun organo o tessuto.
2) Costante assenza di iperpiressia.
3) Sporadico e indiretto coinvolgimento dei tessuti
differenziati.
4) Invasività di tipo quasi esclusivamente focale.
5) Debilitazione progressiva.
6) Refrattarietà di fronte a qualsiasi trattamento.
7) Proliferazione favorita da una molteplicità di concause
indifferenti.
8) Configurazione sintomatologica di base con struttura tendente
alla cronicizzazione.
Esiste quindi una potenzialità patogena eccezionalmente alta e
diversificata in questo micete di pochi micron che, pur se non
rintracciabile con gli attuali strumenti sperimentali, non può essere
disconosciuta dal punto di vista clinico.
Di certo poi non può soddisfare la sua attuale sistemazione
nosologica perché, non tenendo conto delle infinite possibili configurazioni
parassitiche, risulta in pratica troppo semplicistica e riduttiva.
Si deve ipotizzare perciò che la Candida, nel momento in cui
viene attaccata dal sistema immunologico dell'ospite oppure da un
trattamento antimicotico convenzionale, non reagisce secondo gli usuali
schemi codificati, ma si difende trasformandosi in elementi sempre più
piccoli e indifferenziati ancorché integralmente fecondi, fin quasi a
occultare la propria presenza, sia all'organismo parassitato, sia ad
eventuali indagini diagnostiche. Il suo comportamento si può considerare un
po' come ad elastico:
Quando sussistono condizioni favorevoli di attecchimento, si
espande florida su un epitelio; non appena si innesca la reazione tissutale,
si trasforma massivamente in una forma meno produttiva ma non attaccabile,
la spora; qualora poi, si determinino delle soluzioni di continuo sub
epiteliali, coniugate con una sopraggiunta areattività, in quel momento la
spora si insinua approfondendosi nel connettivo sottostante, in un tale
stato di inattaccabilità da risultare irreversibile.
In pratica cioè, la Candida si avvale di una intercambiabilità
strutturale, che utilizza a seconda delle difficoltà presenti nella propria
nicchia biologica:
Così, nel suolo, nell'aria, nell'acqua, nella vegetazione ecc.,
vale a dire laddove non è prevista alcuna reazione anticorpale, è libera di
espandersi in una forma vegetativa matura; negli epiteli invece assume una
forma mista, ridotta alla sola componente sporificata quando penetra nei
piani più profondi, dove tende di nuovo ad espandersi in presenza di
condizioni di areattività tissutale.
Iniziale passo obbligato di una ricerca approfondita sarebbe
allora quello di capire se e in quali dimensioni trascende la spora, quali
meccanismi mette in moto per nascondersi, o, ancora, se conserva sempre la
sua caratteristica di parassita oppure si dispone in una posizione di neutra
quiescenza, difficile se non impossibile da rilevare da parte del sistema
immunitario.
Per queste e per altre simili domande, purtroppo oggi non ci si
può avvalere di presidi adatti, né teorici né tecnici, dimodoché gli unici
suggerimenti validi possono pervenire solo dalla clinica e dall'esperienza,
capaci, se non di fornire soluzioni immediate, almeno di stimolare ulteriori
domande.
Ammettendo dunque che la Candida Albicans sia l'agente
responsabile dello sviluppo tumorale, una terapeutica mirata dovrebbe
tenere conto non solo delle sue manifestazioni macroscopiche e statiche, ma
anche di quelle ultramicroscopiche, specialmente nella loro valenza
dinamica, cioè riproduttiva.
Ed è molto probabilmente nei punti di transizione dimensionale,
cioè, che vanno individuati i siti d'attacco, in una bonifica che comprenda
tutto lo spettro dell'espressione biologica parassitaria, vegetativa,
sporale ed eventualmente ultradimensionale, al limite virale.
Se ci si sofferma invece solo ai fenomeni più evidenti, si
rischia di somministrare pomate e unguenti a vita (nelle dermatomicosi o
nella psoriasi), o di aggredire maldestramente (con chirurgia, radioterapia
e chemioterapia) le enigmatiche masse tumorali, con il risultato di
favorirne esclusivamente la propagazione, peraltro già di per sé così
esaltata nelle forme fungine.
Perché, ci si domanda però, si dovrebbe supporre una diversa e
esaltata attività della Candida Albicans, dal momento che è stata descritta
abbondantemente nelle sue manifestazioni patologiche?
La risposta risiede nel fatto che essa è stata studiata solo in
un ambito patogeno, cioè solo in rapporto ai tessuti di rivestimento di un
organismo; in realtà la Candida possiede una valenza aggressiva
diversificata in funzione del tessuto interessato; è solo nel connettivo o
nell'ambiente connettivale difatti, e non nei tessuti differenziati che
trova le condizioni di un'espansione illimitata.
Questo peraltro emerge riflettendo un attimo sulla principale
funzione del tessuto connettivo, che è proprio quella di veicolare e di
rifornire di sostanze nutritive le cellule di tutto l'organismo.
E' in questa sede, difatti, da considerare come un ambiente
esterno sui generis rispetto alle cellule più differenziate (nervose,
muscolari, ecc.), che si verifica la competizione alimentare:
da una parte gli elementi cellulari dell'organismo che cercano
di scalzare ogni forma di invasione, dall'altra le cellule fungine che
tentano di assorbire sempre maggiori quantità di sostanze nutritive,
obbedendo alla necessità biologica della specie di tendere alla formazione
di masse e colonie sempre più grandi e diffuse.
Dalla combinazione di vari fattori inerenti l'ospite e l'
aggressore, è possibile dunque ipotizzare l'evoluzione di una candidosi:
1°Stadio. Epiteli integri, assenza di fattori debilitanti.
La Candida può rimanere solo come saprofita.
2°Stadio. Epiteli non integri (erosioni, abrasioni ecc.),
assenza di fattori debilitanti, condizioni transitorie
inusuali (acidosi, dismetabolismo, dismicrobismo
ecc.).
La Candida si espande superficialmente (micosi
classica, esogena ed endogena).
3°Stadio. Epiteli non integri, presenza di fattori debilitanti
(tossici, radianti, traumatici, neuropsichici
ecc.).
La Candida si approfondisce nei piani sub
epiteliali, da cui eventualmente viene veicolata in
tutto l'organismo tramite il sangue e la linfa
(micosi intima). (11)
Gli stadi 1 e 2 sono quelli più studiati e conosciuti, mentre lo
stadio 3, pur descritto nella sua diversità morfologica, viene ricondotto a
una silente forma di saprofitismo.
Questo dal punto di vista logico non è accettabile, poiché
nessuno può dimostrare l'innocuità delle cellule fungine presenti nelle
parti più intime dell'organismo.
Assumere difatti che la Candida possa avere lo stesso
comportamento di saprofita osservabile sugli epiteli integri allorquando è
riuscita ad insinuarsi nei piani più profondi, è un'operazione a dir poco
rischiosa, poiché dovrebbe essere sostenuta da concetti assolutamente
aleatori .
Non solo difatti si dovrebbe ammettere a priori l'inidoneità
dell'ambiente connettivale sotto il profilo nutritivo per la Candida, ma
anche, nel contempo, l'onnipotenza sempre e comunque delle difese ospiti nei
confronti di una struttura organica di per sé invasiva, che dovrebbe
risultare poi del tutto inerme nei tessuti più profondi.
Per quanto riguarda il primo punto però, è difficile immaginare
che un micro organismo così capace di adattarsi a qualsiasi substrato, non
riesca a trovare elementi di sussistenza nella sostanza organica umana;
parimenti azzardato sembra ipotizzare un'efficienza difensiva totale dell'
organismo umano in ogni momento dell'esistenza.
Riguardo infine ad una presunta tendenza ad uno stato di
quiescenza e di vulnerabilità di un agente patogeno qual è il fungo, del
micro organismo cioè più invasivo e più aggressivo che esiste in natura,
tutto ciò ha piuttosto il sapore dell'incoscienza.
Urge pertanto, in base alle considerazioni suesposte, una rapida
presa di coscienza sulla pericolosità di un tale agente patogeno capace di
assumere con disinvoltura le più svariate configurazioni biologiche, sia
biochimiche che strutturali, in funzione delle condizioni degli organismi
parassitati.
Il gradiente d'espansione fungino, difatti, è tanto più alto
quanto meno eutrofico e quindi reattivo è il tessuto sede di invasione
micotica.
Nel corpo umano quindi, ogni elemento, esterno o interno, che
determina una diminuzione dello stato di benessere di un organismo, di un
organo o di un tessuto, possiede una potenzialità oncogena, non tanto per un
'eventuale intrinseca capacità lesiva, quanto per una generica proprietà di
favorire l'attecchimento fungino, cioè tumorale.
La rete causale allora, così spesso invocata nell'odierna
oncologia, in cui entrano fattori tossici, genetici, immunologici,
psicologici, geografici, morali, sociali ecc., in realtà trova una giusta
collocazione solo in un'ottica infettiva micotica, dove la sommazione
aritmetica e diacronica di elementi nocivi funge da co-fattore all'
aggressione esterna.
Dimostrata così in via teorica l'equivalenza tumore = fungo, è
chiaro come la sua chiave interpretativa ponga una serie di interrogativi
sulle attuali terapie, sia oncologiche (utilizzate senza indici di
riferimento), sia antimicotiche (utilizzate solo a livello superficiale).
Quale strada conviene percorrere oggi, allora, di fronte a un
malato di cancro, dal momento che i trattamenti oncologici convenzionali,
non essendo eziologici, possono portare effetti positivi solo in via
occasionale?
In un'ottica fungina, difatti, l'efficacia della chirurgia
risulta notevolmente ridotta dal carattere di estrema diffusibilità e
invasività di un aggregato miceliale, cosicché un suo potere risolutorio è
legato al caso, alle condizioni cioè in cui si ha la fortuna di asportare
completamente tutta la colonia (la qual cosa spesso è resa possibile da uno
stato di incistazione sufficiente).
La chemioterapia e la radioterapia poi, possono produrre quasi
esclusivamente effetti negativi, sia per la loro inefficacia specifica, sia
per l'alta tossicità e lesività nei confronti dei tessuti, che in ultima
analisi favorisce maggiormente l'aggressività micotica.
Una terapia antifungina - antitumorale specifica, invece,
dovrebbe tenere conto dell'importanza del tessuto connettivo unitamente alla
complessità riproduttiva dei funghi; solo attaccandoli in tutte le bande d'
esistenza nella sede nutritizia a loro più confacente, è possibile sperare
di eradicarli dall'organismo umano.
Il primo passo da compiere perciò è quello di rafforzare il
malato di cancro con misure ricostituenti generiche (alimentazione,
integratori, regolazione dei ritmi e delle funzioni vitali), in grado di
potenziare già da sole aspecificamente le difese dell'organismo.
Riguardo poi alla possibilità di disporre di quei farmaci
risolutori che purtroppo oggi non esistono, appare utile, nel tentativo di
trovare una sostanza antifungina molto diffusibile e quindi efficace, di
considerare l'estrema sensibilità della Candida nei confronti del
bicarbonato di sodio (ad esempio nella candidosi orale dei lattanti), la
qual cosa peraltro si accorda con la sua accentuata capacità di riprodursi
in ambiente acido.
Teoricamente perciò, escogitando dei trattamenti in cui si
riesca a mettere il fungo a contatto con alte concentrazioni di bicarbonato,
si dovrebbe assistere alla regressione delle masse tumorali interessate.
E questo è quanto avviene in molti tipi di tumore, specialmente
quello dello stomaco e quello del polmone, il primo suscettibile di
regressione proprio per la sua posizione anatomica "esterna", il secondo per
la notevole diffusibilità del bicarbonato nel sistema bronchiale e per la
sua alta responsività alle misure ricostituenti generali.
Applicando dunque una simile impostazione terapeutica, è stata
possibile in alcuni pazienti la completa remissione della sintomatologia e
la normalizzazione dei dati strumentali.
Vengono riportati qui di seguito alcuni casi (quelli più nitidi,
sopravvissuti da più di 10 anni).
Caso 1) Una paziente di 70 anni, con diagnosi di adenocarcinoma
dello stomaco, supportata dai comuni tests oncologici (Tac, biopsia, ecc.),
due giorni prima dell'operazione fissata, accettando il consiglio di tentare
una strada meno cruenta, esce dall'ospedale.
Per il periodo di un mese le viene somministrato bicarbonato di
sodio (1 cucchiaino abbondante in un bicchiere d'acqua) da assumere mezz'ora
prima della colazione, cioè a stomaco vuoto, con lo scopo di potenziarne al
massimo l'attività.
Dopo circa due mesi avviene la normalizzazione della
funzionalità gastrica con attenuazione e poi perdita di tutta la
sintomatologia connessa con la patologia neoplastica (inappetenza,
pesantezza digestiva, spossatezza, accessi lipotimici, ecc.)
Dopo un esame endoscopico eseguito a distanza di un anno
dall'inizio della terapie, attestante la completa remissione della
formazione neoplastica, la paziente rifiuta ulteriori ricerche.
E' tuttora vivente a distanza di 15 anni dal trattamento.
Caso 2) Paziente di 67 anni, con una storia di ulcera gastrica
alle spalle, al quale essendo diagnosticato in ambiente ospedaliero nel
tumore dello stomaco, viene consigliata una gastrectomia.
Egli, convinto che la sua malattia sia solo un'esacerbazione
dell'ulcera, spinto perciò a trovare alternative all'intervento chirurgico,
si sottopone a terapia con bicarbonato, attuata come nel caso 1, la quale
determina in pochi mesi la regressione della sintomatologia neoplastica.
Dopo un periodo di circa 18 mesi, durante il quale non viene
effettuato nessun controllo, in seguito ad una ripresa della sintomatologia
viene riproposta l'assunzione di bicarbonato come in precedenza, con cui in
breve tempo viene ristabilita la funzionalità gastrica, mantenuta peraltro
per circa 8 anni, fino a quando cioè si perdono le tracce del paziente
stesso.
Caso 3) Paziente di 58 anni, affetto da carcinoma dello stomaco,
diagnosticato tramite esame istologico eseguito su reperto endoscopico.
Escluse per scelta personale le vie ufficiali, vengono
accettate le indicazioni terapeutiche attuate nei due casi precedenti, da
cui esita una normalizzazione del quadro sintomatologico per circa tre anni,
vale a dire fino a quando vengono sospese ulteriori visite di controllo.
Caso 4) Paziente di 71 anni, che si presenta, ad un controllo
effettuato in ambiente ospedaliero nel settembre 1983, in un grave stato di
emaciazione determinata dal notevole calo ponderale (dell'ordine di 15 Kg)
sopraggiunto negli ultimi mesi.
Essendo stata diagnosticata una neoplasia dello stomaco e
approntato uno schema terapeutico oncologico combinato, ne viene data
notizia ai parenti, i quali inoltre vengono messi al corrente delle
difficoltà e dei rischi di un simile trattamento, da attuare in un malato
estremamente defedato.
A questo punto la moglie, rifiutando le strade ufficiali,
decide di riportare il marito a casa e di tentare l'alternativa "innocua"
del bicarbonato, la somministrazione del quale (ad una dose leggermente
inferiore ai casi precedenti), restaura un appetito e una funzionalità
digestiva soddisfacente.
Per circa 8 mesi si assiste ad una certa fatica a riacquistare
peso; dopo tale periodo la ripresa diviene man mano più evidente fino al
recupero quasi totale dei chili perduti (entro 24 mesi), con un sensibile
miglioramento delle condizioni generali.
Caso 5) Paziente di 51 anni con diagnosi (fine 1983) di
carcinoma bronchiale in sede lombare inferiore destra, al quale, espletati
gli accertamenti oncologici di routine (con Tac nettamente positiva, ma con
aspirato bronchiale negativo), viene proposto intervento chirurgico.
Dopo una consultazione avvenuta tra i familiari, essendosi
deciso di rimandare di qualche tempo quanto stabilito dai sanitari, viene
tentato il trattamento con bicarbonato.
Esami radiologici effettuati a distanza di circa 18 mesi,
durante i quali non si verificano gli episodi emoftoici di inizio malattia,
evidenziano ancora la presenza di una massa nodulare nel lobo inferiore
destro, le sue dimensioni però appaiono più piccole e i suoi contorni più
regolari.
Caso 6) Paziente di 48 anni, con tumore al lobo medio del
polmone, attestato da tutte le ricerche oncologiche, messo in lista d'attesa
(inizio 1983) per intervento chirurgico, la cui modalità d'esecuzione
risulta peraltro non essere completamente definita a motivo di un dubbio
sconfinamento della massa neoplastica.
Uscito dall'ospedale contro il volere dei sanitari (da
sottolineare che per mesi è stato ricercato dagli addetti ospedalieri), si
sottopone a terapia a base di bicarbonato, che in breve tempo ristabilisce
condizioni ottimali di salute
In un esame Rx eseguito dopo circa 9 mesi, è possibile
osservare, al posto della massa neoplastica, una tenue linea trasversale
alla base del lobo medio, da interpretare verosimilmente come residuo
cicatriziale.
E' tuttora vivente.
Caso 7) Paziente di 55 anni affetto da neoplasia del retto,
evidenziatasi sintomatologicamente (1981) con disturbi all'evacuazione e
emissione franca di sangue, e a livello strumentale mediante esame
endoscopico.
Consigliato dai sanitari di sottoporsi a resezione rettale con
conseguente instaurazione di ano preternaturale, egli, nel tentativo di
evitare una penosa mutilazione, si sottopone a terapia locale di
bicarbonato, eseguita mediante clisteri contenenti una soluzione molto
concentrata (8 cucchiaini in un litro).
A distanza di 3 anni era ancora vivente.
Considerazioni critiche:
Dal sistema di pensiero e dai casi brevemente illustrati, sembra
opportuno analizzare gli spunti nuovi e nel contempo concreti che possano
emergere, in chiave sia critica che autocritica, nella patologia
neoplastica.
A ben guardare il metodo terapeutico proposto, difatti, ci si
accorge che esso possiede già in sé, indipendentemente dalla reale
efficacia, un suo valore teorico innovativo, primo perché mette in
discussione i metodi attuali e i suoi presupposti concettuali, secondo
perché rappresenta una proposta alternativa concreta a tutta la congerie di
posizioni magniloquenti ma troppo generiche, e quindi inefficaci, oggi
esistenti.
Identificare invece una sola causa tumorale, pur se con tutti i
possibili impliciti condizionamenti d'ordine generale, rappresenta un passo
avanti indispensabile per uscire da quella forma di passività determinata
dalla mancanza di risultati, responsabile di comportamenti troppo fideistici
e quindi sfiduciati.
Il dato di fatto dunque che un approccio medico non
convenzionale possa apportare in alcuni pazienti benefici sotto ogni profilo
superiori ai trattamenti ufficiali, dimostrando anche un valore risolutivo,
dovrebbe indurre a ricercarne le ragioni di fondo, cercando di evitare
atteggiamenti di sufficienza limitativi e improduttivi.
Si può discutere perciò se è il bicarbonato il fautore delle
guarigioni o invece l'insieme delle condizioni instaurate, oppure
l'intervento di fattori neuropsichici inidentificati, o altro ancora; quello
che rimane indiscusso però è il fatto che un certo numero di persone,
deviando dai metodi convenzionali, è potuto ritornare alla normalità di vita
senza sofferenze e senza mutilazioni.
Il messaggio che ne deriva perciò è un appello a ricercare
quelle soluzioni che si accordino con il semplice presupposto Ippocratico
del "benessere" dell'uomo, vale a dire è uno stimolo a valutare criticamente
le terapie oncologiche odierne, in grado di garantire indubitabilmente solo
sofferenze.
Una cosa è certa, oggi non è più lecito, in preda al panico e
alla "sindrome del tumore", tollerare delle carneficine effettuate su scala
mondiale, ammantate per di più dal "misericordioso" obbligo di dover aiutare
e di essere aiutati, senza il supporto di fondamenti eziologici certi.
Mettendosi difatti per un attimo in una diversa prospettiva,
tentando di vedere il pianeta tumore con occhi più naturali, ipotizzando
cioè una genesi più semplice della proliferazione neoplastica, al limite
quella fungina, si rimane sbalorditi e nello stesso tempo atterriti dalla
profana mano della medicina ufficiale, armata di un cinismo e di una
superficialità abissali.
I casi negativi, si potrebbe argomentare però, rappresentano
l'inevitabile prezzo da pagare per salvare qualcuno.
Se le sofferenze e i decessi autorizzati stanno in un rapporto
enormemente negativo nei confronti di eventuali guarigioni (queste sì
riconducibili al caso o a fattori estranei alle terapie), allora non è più
ammissibile voler operare a tutti i costi, in quanto così facendo si delinea
solo la possibilità di fare del male.
Ma le guarigioni avvenute in seguito ai protocolli oncologici
attuali, si ribatterebbe, non sono poi in numero così esiguo, anzi in certe
specie di tumore sono riscontrabili in alta percentuale.
Simili risultanze però, è facile rilevare, non sono altro che
l'esito di atteggiamenti propagandistici sostenuti da argomentazioni
surrettizie volte a distribuire indistintamente luce impropria a tutto il
panorama delle entità nosologiche tumorali.
Raggruppare allora nello stesso cespite tumori maligni
occasionalmente o mai guariti (come quello del polmone o dello stomaco),
insieme a quelli al limite della benignità (come la maggior parte dei
tiroidei o dei prostatici ecc.), oppure insieme a quelli che hanno
un'evoluzione positiva autonoma malgrado la chemioterapia (ad esempio le
leucemie dell'infanzia), appare un'operazione subdola e mistificatoria che
ha l'unico scopo di coagulare quei consensi impossibili da ottenere con un
comportamento intellettualmente corretto.
Se ad esempio su un certo numero di specie di tumore, solamente
uno risulta suscettibile di regredibilità, non è lecito costruire un
diagramma nosologico che informi sulla incidenza globale della terapeutica
applicata indistintamente sulla totalità delle neoplasie; sarebbe più
corretto al contrario denunciarne l'inutilità, anzi la dannosità, lasciando,
per quanto riguarda l'eteroplasia che denota un andamento positivo, un
dominio aperto di ipotesi alternative.
Ritornando allora, ad esempio, alle leucemie dell'infanzia, la
loro frequente fausta evoluzione, potrebbe essere messa in correlazione con
elementi estranei alle terapie somministrate, come ad esempio con quelle
terapie di sostegno comunemente apportate, da considerare particolarmente
efficaci in organismi giovani, oppure con la proprietà del tessuto
connettivo di acquisire, in una determinata epoca di sviluppo, quella
maturazione necessaria al potenziamento di un'attività immunologica
dimostratasi, in un determinato momento della vita, intrinsecamente
insufficiente.
Accade spesso difatti, in medicina, che alcune malattie
scompaiano da sole senza motivi apparenti, ma solo in correlazione con
determinati passaggi di maturazione organica.
Tanto per rimanere in tema oncologico - micologico, è noto come
alcune micosi dell'infanzia croniche e recidivanti refrattarie a qualsiasi
trattamento, improvvisamente ad un certo stadio dello sviluppo scompaiano
senza lasciare residui.
Dalle brevi notazioni critiche esposte, moltiplicabili
inutilmente all'infinito, il panorama della malattia tumorale risulta dunque
estremamente vario e complesso, talché assumere posizioni esclusive o
preclusive sia in senso convenzionale che anticonvenzionale può risultare
indice di ristrettezza mentale, specialmente in ragione del fatto che il
terreno su cui ci si muove è in gran parte sconosciuto e quindi non
inquadrabile in maniera univoca o standardizzata.
Laddove infatti ci si addentra nello spazio occupato da elementi
non visibili e ultramicroscopici, dovendosi inevitabilmente la
strutturazione della conoscenza appoggiare sulla costruzione di una
molteplicità di entità teoriche, il rischio di uno slittamento da un
inquadramento reale in uno funzionale può trasformarsi in un dato di fatto
pernicioso.
Il fatto poi che in pratica la medicina odierna, non solo non
fornisca dei criteri interpretativi sufficienti, ma adotti metodiche
pericolose, dannose e insensate, anche se in buona fede, deve spingere
chiunque alla ricerca di alternative logiche ed umane e, in via subordinata,
a guardare con attenzione e con occhi disponibili qualsiasi teoria e
posizione che osi alzare la testa, sempre con logicità, contro quel giogo
così mostruoso ed inumano che è il tumore.
In una prospettiva alternativa, allora, bisognerebbe programmare
ex-novo la sperimentazione in campo oncologico, predisponendo le ricerche
(epidemiologiche, eziologiche, patogenetiche, cliniche e terapeutiche), in
linea con i concetti di una microbiologia e di una micologia rinnovata, che
porterebbero con molta probabilità alle conclusioni già esposte, e cioè che
il tumore è un fungo, la Candida Albicans.
L'eventuale riscontro poi, che non solo i tumori, ma che la
maggior parte delle malattie cronico-degenerative possa ricondursi a una
causalità micotica, dove eventualmente possa rientrare uno spettro più ampio
dei parassiti fungini (ad esempio le malattie del connettivo, la sclerosi
multipla, la psoriasi, il diabete II, ecc.), rappresenterebbe quel salto di
qualità che, aprendo la via ad una rivoluzione del pensiero medico, potrebbe
migliorare enormemente l'aspettativa di vita, sia in senso qualitativo che
quantitativo.
Per concludere, se fino ad oggi il mondo dei funghi, cioè dei
micro organismi più complessi e più aggressivi che si conoscono, è potuto
passare inosservato, la speranza del presente lavoro è che si possa prendere
rapidamente coscienza della loro pericolosità, in modo da veicolare le
risorse della ricerca medica non in vicoli ciechi, ma contro i veri nemici
dell'organismo umano, gli agenti infettivi esterni.
Sommario:
Il presente lavoro intende richiamare l'attenzione sul possibile
ruolo eziologico dei funghi nella malattia tumorale, in particolare della
Candida Albicans.
Partendo difatti dalla loro infinita capacità di adattamento a
tutti i substrati biologici, nonché dalla loro estrema potenzialità
patogena, di molto superiore ad ogni altro micro organismo, non risulta
ormai più accettabile una loro collocazione in quello spazio indefinito e
indefinibile che comprende i cosiddetti patogeni occasionali.
Se, come è noto, i funghi sono in grado di attaccare qualsiasi
sostanza organica, specialmente quella in via di degradazione, allora è
possibile ipotizzare un loro attecchimento nell'intimità dei tessuti,
laddove particolari condizioni contingenti lo permettano.
Un trattamento finalizzato alla loro eradicazione deve quindi
tenere conto sia della loro diffusibilità che della loro complessità
biologica, cosa che non può essere ottenuta oggi né con le terapie
oncologiche, né tantomeno con quelle antimicotiche.
I 7 casi illustrati, trattati in maniera peculiare e risolutoria
con il bicarbonato di sodio, una sostanza alcalina molto diffusibile e
quindi notevolmente attiva contro la Candida in tutte le sue manifestazioni,
possono indicare un nuovo modo di procedere in campo oncologico.
Solo abbandonando la tesi oncologica universalmente condivisa,
che il tumore derivi cioè da un'anomalia riproduttiva cellulare, e
reimpostando tutta la ricerca in un'ottica infettiva micotica, è lecito
sperare nella definitiva sconfitta del cancro.
Note bibliografiche:
1) Verona O., "Il vasto mondo dei funghi", Bologna 1985,
pag.1
2) Ivi, pag.2
3) Rambelli A., "Fondamenti di micologia", Bologna 1981,
pag.35
4) Ibidem
5) Ivi, pag.28
6) Verona O., cit. pag.5
7) Rambelli A., cit. pag.31
8) ivi, pag.28
9) ivi, pag.29
10) ivi, pag.266
11) ivi, pag.273
pH acido nei TUMORI, presupposto per nuove Linee Terapeutiche
La misurazione del pH nei tessuti ha evidenziato che il
micro-ambiente è più acido nei tumori che nei tessuti normali; la produzione
di acido lattico e l'idrolisi di ATP nelle regioni ipossiche, rientrano
probabilmente in questo meccanismo di iperacidità, insieme ad altri pattern
metabolici.
Il Ph acido allora, può influenzare lo sviluppo di nuove e
relativamente specifiche terapie anticancro, mirate a regolare il Ph
intracellulare.
Cancer Res 1989 Aug 15;49(16):4373-84 Related Articles, Books,
LinkOut
Acid pH in tumors and its potential for therapeutic
exploitation.
Tannock IF, Rotin D. - Department of Medicine, Ontario Cancer
Institute, Toronto, Canada.
Measurement of pH in tissue has shown that the microenvironment
in tumors is generally more acidic than in normal tissues. Major mechanisms
which lead to tumor acidity probably include the production of lactic acid
and hydrolysis of ATP in hypoxic regions of tumors. Further reduction in pH
may be achieved in some tumors by administration of glucose (+/- insulin)
and by drugs such as hydralazine which modify the relative blood flow to
tumors and normal tissues. Cells have evolved mechanisms for regulating
their intracellular pH. The amiloride-sensitive Na+/H+ antiport and the
DIDS-sensitive Na+-dependent HCO3-/Cl- exchanger appear to be the major
mechanisms for regulating pHi under conditions of acid loading, although
additional mechanisms may contribute to acid extrusion. Mitogen-induced
initiation of proliferation in some cells is preceded by cytoplasmic
alkalinization, usually triggered by stimulation of Na+/H+ exchange;
proliferation of other cells can be induced without prior alkalinization.
Mutant cells which lack Na+/H+ exchange activity have reduced or absent
ability to generate solid tumors; a plausible explanation is the failure of
such mutant cells to withstand acidic conditions that are generated during
tumor growth. Studies in tissue culture have demonstrated that the
combination of hypoxia and acid pHe is toxic to mammalian cells, whereas
short exposures to either factor alone are not very toxic. This interaction
may contribute to cell death and necrosis in solid tumors. Acidic pH may
influence the outcome of tumor therapy. There are rather small effects of
pHe on the response of cells to ionizing radiation but acute exposure to
acid pHe causes a marked increase in response to hyperthermia; this effect
is decreased in cells that are adapted to low pHe. Acidity may have varying
effects on the response of cells to conventional anticancer drugs.
Ionophores such as nigericin or CCCP cause acid loading of cells in culture
and are toxic only at low pHc; this toxicity is enhanced by agents such as
amiloride or DIDS which impair mechanisms involved in regulation of pHi. It
is suggested that acid conditions in tumors might allow the development of
new and relatively specific types of therapy which are directed against
mechanisms which regulate pHi under acid conditions.
Potenziamento della terapia agendo sul pH dei liquidi dei
tessuti del tumore
Il Ph dei tumori solidi è significativamente più acido dei
tessuti normali.
Un basso Ph in vitro riduce la citotossicità dei chemioterapici
debolmente basici, contribuendo ad una resistenza.
Il bicarbonato di sodio, si riporta nel lavoro, amplifica
significativamente l'effetto della doxorubicina.
Questo lavoro rappresenta la dimostrazione in vivo (in pazienti
neoplastici), della resistenza, già ben documentata in vitro e in via
teorica, verso i chemioterapici debolmente basici.
Br J Cancer 1999 Jun;80(7):1005-11 Related Articles, Books,
LinkOut
Enhancement of chemotherapy by manipulation of tumour pH.
Raghunand N, He X, van Sluis R, Mahoney B, Baggett B, Taylor
CW, Paine-Murrieta G, Roe D, Bhujwalla ZM, Gillies RJ. - Arizona Cancer
Center, Tucson 85724-5024, USA.
The extracellular (interstitial) pH (pHe) of solid tumours is
significantly more acidic compared to normal tissues. In-vitro, low pH
reduces the uptake of weakly basic chemotherapeutic drugs and, hence,
reduces their cytotoxicity. This phenomenon has been postulated to
contribute to a 'physiological' resistance to weakly basic drugs in vivo.
Doxorubicin is a weak base chemotherapeutic agent that is commonly used in
combination chemotherapy to clinically treat breast cancers. This report
demonstrates that MCF-7 human breast cancer cells in vitro are more
susceptible to doxorubicin toxicity at pH 7.4, compared to pH 6.8.
Furthermore 31P-magnetic resonance spectroscopy (MRS) has shown that the pHe
of MCF-7 human breast cancer xenografts can be effectively and significantly
raised with sodium bicarbonate in drinking water. The bicarbonate-induced
extracellular alkalinization leads to significant improvements in the
therapeutic effectiveness of doxorubicin against MCF-7 xenografts in vivo.
Although physiological resistance to weakly basic chemotherapeutics is
well-documented in vitro and in theory, these data represent the first in
vivo demonstration of this important phenomenon.
Fluorescence ratio imaging of interstitial pH in solid tumours:
effect of glucose on spatial and temporal gradients.
Dellian M, Helmlinger G, Yuan F, Jain RK. - Edwin L Steele
Laboratory, Department of Radiation Oncology, Massachusetts General
Hospital, Harvard Medical School, Boston 02114, USA.
Tumour pH plays a significant role in cancer treatment.
However, because of the limitations of the current measurement techniques,
spatially and temporally resolved pH data, obtained non-invasively in solid
tumours, are not available. Fluorescence ratio imaging microscopy (FRIM) has
been used previously for noninvasive, dynamic evaluation of pH in neoplastic
tissue in vivo (Martin GR, Jain RK 1994, Cancer Res., 54, 5670-5674).
However, owing to problems associated with quantitative fluorescence in
thick biological tissues, these studies were limited to thin (50 microns)
tumours. We, therefore, adapted the FRIM technique for pH determination in
thick (approximately 2 mm) solid tumours in vivo using a pinhole
illumination-optical sectioning (PIOS) method. Results show that (1) steep
interstitial pH gradients (5 microns resolution), with different spatial
patterns, exist between tumour blood vessels; (2) pH decreased by an average
of 0.10 pH units over a distance of 40 microns away from the blood vessel
wall, and by 0.33 pH units over a 70 microns distance; (3) the maximum pH
drop, defined as the pH difference between the intervessel midpoint and the
vessel wall, was positively correlated with the intervessel distance; (4) 45
min following a systemic glucose injection (6 g kg-1 i.v), interstitial pH
gradients were shifted to lower pH values by an average of 0.15 pH units,
while the spatial gradient (slope) was maintained, when compared with
preglucose values. This pH decrease was not accompanied by significant
changes in local blood flow. pH gradients returned to near-baseline values
90 min after glucose injection; (5) interstitial tumour pH before
hyperglycaemia and the glucose-induced pH drop strongly depended on the
local vessel density; and (6) sodium bicarbonate treatment, either acute (1
M, 0.119 ml h-1 for 3 h i.v.) or chronic (1% in drinking water for 8 days),
did not significantly change interstitial tumour pH. Modified FRIM may be
combined with other optical methods (e.g. phosphorescence quenching) to
evaluate non-invasively the spatial and temporal characteristics of
extracellular pH, intracellular pH and pO2 in solid tumours. This will offer
unique information about tumour metabolism and its modification by treatment
modalities used in different cancer therapies.
J Pain Symptom Manage 1996 Jul;12(1):11-7 Related Articles,
Books, LinkOut
Comment in: J Pain Symptom Manage. 1997 Jun;13(6):316-8
Effects of induced metabolic alkalosis on perception of dyspnea
during flow-resistive loading.
Taguchi N, Ishikawa T, Sato J, Nishino T. - Department of
Anesthesiology, School of Medicine, Chiba University, Japan.
Treatment of dyspnea in patients with advanced cancer is an
important issue. The purpose of the present study was to assess the effect
of induced-metabolic alkalosis produced by administration of sodium
bicarbonate on dyspneic sensation. In seven healthy subjects, dyspnea was
induced by having them breathe with a flow-resistive load (24 cm H2O/L/sec)
for 6 min before and after administration of sodium bicarbonate (0.5
mmol/kg, per os+2 mmol/kg, IV). The intensity of dyspnea was rated using a
visual analogue scale (VAS). The VAS scores and minute ventilation during
loaded breathing after administration of sodium bicarbonate were
significantly lower than those before administration of sodium bicarbonate.
These results indicate that induced metabolic alkalosis may alleviate the
intensity of dyspneic sensation by a reduction in ventilatory drive.
Diminuzione del volume in presenza di -HCO3 in cellule di
osteosarcoma
Si registra simultaneamente la variazione di voume e di Ph
intracellulare, per studiare il ruolo di HCO3- nella diminuzione del volume
cellulare.
L'aumento di Ph intracellulare - risulta - coincide con una
diminuzione del volume cellulare.
Appare evidente, in questo modo, il coinvolgimento del Na+
(HCO3-) nella regolazione del volume cellulare.
J Biol Chem 1992 Sep 5;267(25):17665-9 Related Articles, Books,
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Regulatory volume decrease in the presence of HCO3- by single
osteosarcoma cells UMR-106-01.
Star RA, Zhang BX, Loessberg PA, Muallem S. - Department of
Medicine, University of Texas Southwestern Medical Center, Dallas
75235-9040.
The technique for the simultaneous recording of cell volume
changes and pHi in single cells was used to study the role of HCO3- in
regulatory volume decrease (RVD) by the osteosarcoma cells UMR-106-01. In
the presence of HCO3-, steady state pHi is regulated by Na+/H+ exchange, Na+
(HCO3-)3 cotransport and Na(+)-independent Cl-/HCO3- exchange. Following
swelling in hypotonic medium, pHi was reduced from 7.16 +/- 0.02 to 6.48 +/-
0.02 within 3.4 +/- 0.28 min. During this period of time, the cells
performed RVD until cell volume was decreased by 31 +/- 5% beyond that of
control cells (RVD overshoot). Subsequently, while the cells were still in
hypotonic medium, pHi slowly increased from 6.48 +/- 0.02 to 6.75 +/- 0.02.
This increase in pHi coincided with an increase in cell volume back to
normal (recovery from RVD overshoot or hypotonic regulatory volume increase
(RVI)). The same profound changes in cell volume and pHi after cell swelling
were observed in the complete absence of Cl- or Na+, providing HCO3- was
present. On the other hand, depolarizing the cells by increasing external K+
or by inhibition of K+ channels with quinidine, Ba2+ or tetraethylammonium
prevented the changes in pHi and RVD. These findings suggest that in the
presence of HCO3-, RVD in UMR-106-01 cells is largely mediated by the
conductive efflux of K+ and HCO3-. Removal of external Na+ but not Cl-
prevented the hypotonic RVI that occurred after the overshoot in RVD.
Amiloride had no effect, whereas pretreatment with
4,4'-diisothiocyanostilbene-2,2'-disulfonic acid (DIDS) strongly inhibited
hypotonic RVI. Thus, hypotonic RVI is mediated by a Na+(out)-dependent,
Cl(-)-independent and DIDS-inhibitable mechanism, which is indicative of a
Na+(HCO3-)3 cotransporter. This is the first evidence for the involvement of
this transporter in cell volume regulation. The present results also stress
the power of the new technique used in delineating complicated cell volume
regulatory mechanisms in attached single cells.
Effetto dell'alcalosi artificiale nell'attività del cervello e
nelle cellule del sangue in pazienti oncologici: Vengono studiati 40
pazienti oncologici, di differenti istotipi, sedi e dimensioni.
Il lavoro evidenzia che i pazienti hanno un'acidosi
intracellulare generalizzata, che può essere diminuita con l'
alcalinizzazione del plasma.
Vestn Ross Akad Med Nauk 1995;(4):24-5 Related Articles, Books,
LinkOut
[Characteristics of the effects of artificial alkalosis on
electrical activity of the brain and ultrastructure of blood cells in
oncologic patients]. [Article in Russian]
Davydova IG, Kassil' VL, Filippova NA, Barinov MV.
The authors examined 40 patients with malignant tumors of
various histogenesis, sites and extent, as well as 5 patients with benign
tumors and other non-tumorous diseases. They also studied their
electroencephalography and peripheral blood lymphocytic and erythrocytic
ultrastructure in metabolic alkalosis temporarily induced by intravenous
sodium hydrogen carbonate. In cancer patients without late metastases,
alkalosis caused a transient normalization of previously altered
electroencephalography, erythrocyte disaggregation and substantially reduced
the count of killer cells in small and middle lymphocytes. These findings
suggest that patients with malignant neoplasms have a generalized
intracellular acidosis which can be temporarily abolished by plasma
alkalinization.
Cancer Res 1989 Jan 1;49(1):205-11 Related Articles, Books,
LinkOut
Requirement of the Na+/H+ exchanger for tumor growth.
Rotin D, Steele-Norwood D, Grinstein S, Tannock I. - Department
of Medicine and Medical Biophysics, Ontario Cancer Institute, Toronto,
Canada.
The Na+/H+ exchanger is involved in a variety of cellular
processes, including regulation of intracellular pH and possibly the control
of cell growth and proliferation. To study the role of the Na+/H+ exchanger
in tumor growth, human sodium proton exchanger-deficient (HSPD) mutants were
derived from the human bladder carcinoma cell line MGH-U1 (EJ) by the proton
suicide selection technique (J. Pouyssegur et al., Proc. Natl. Acad. Sci.
USA, 81: 4833-4837, 1984). The HSPD cells were approximately 40% larger and
contained approximately 70% more DNA than the parental cells. They were
unable to grow in vitro in the absence of bicarbonate at pH less than 7.0,
whereas the parental cells grew well at pH greater than or equal to 6.6.
This difference in acid sensitivity was abolished in the presence of
bicarbonate. In contrast to the parental MGH-U1 cells, the Na+/H+-deficient
HSPD cells either failed to grow tumors, or showed severely retarded tumor
growth when implanted into immune-deprived mice. This difference in tumor
growth was not attributed to differences in cell size and DNA content,
because Na+/H+ exchange-competent large cells (HLC), derived during the same
proton suicide selection process as the HSPD cells, grew tumors at a rate
close to that of the parental cells. Cells derived from the few tumors which
grew after implantation of HSPD mutant cells were revertants which had
regained Na+/H+ activity. HSPD cells also failed to form spheroids in
culture, and the only spheroid formed consisted of revertant cells which had
regained both Na+/H+ exchange activity and tumorigenic capacity. These
results suggest that the Na+/H+ exchanger is important for tumor growth.
Eur J Biochem 1987 Dec 30;170(1-2):43-9 Related Articles, Books
Properties of the Na+-dependent Cl-/HCO3- exchange system in
U937 human leukemic cells.
Ladoux A, Krawice I, Cragoe EJ Jr, Abita JP, Frelin C. -
Institut National de la Sante et de la Recherche Medicale Unite 204, Hopital
Saint-Louis, Paris, France.
U937 cell possess two mechanisms that allow them to recover
from an intracellular acidification. The first mechanism is the
amiloride-sensitive Na+/H+ exchange system. The second system involves
bicarbonate ions. Its properties have been defined from intracellular pH
(pHi) recovery experiments, 22Na+ uptake experiments, 36Cl- influx and
efflux experiments. Bicarbonate induced pHi recovery of the cells after a
cellular acidification to pHi = 6.3 provided that Na+ ions were present in
the assay medium. Li+ or K+ could not substitute for Na+. The system seemed
to be electroneutral. 22Na+ uptake experiments showed the presence of a
bicarbonate-stimulated uptake pathway for Na+ which was inhibited by
4,4'-diisothiocyanostilbene-2,2'-disulfonate. The bicarbonate-dependent
22Na+ uptake component was reduced by depleting cells of their internal Cl-
and increased by removal of external Cl-. 36Cl- efflux experiments showed
that the presence of both external Na+ and bicarbonate stimulated the efflux
of 36Cl- at a cell pHi of 6.3. Finally a 36Cl- uptake pathway was
documented. It was inhibited by 4,4'-diisothiocyanostilbene-2,2'-disulfonate
(K0.5 = 10 microM) and bicarbonate (K0.5 = 2 mM). These results are
consistent with the presence in U937 cells of a coupled exchange of Na+ and
bicarbonate against chloride. It operates to raise the intracellular pH. Its
pHi and external Na+ dependences were defined. No evidence for a
Na+-independent Cl-/HCO3- exchange system could be found. The Na+-dependent
Cl-/HCO3- exchange system was relatively insensitive to (aryloxy)alkanoic
acids which are potent inhibitors of bicarbonate-induced swelling of
astroglia and of the Li(Na)CO3-/Cl- exchange system of human erythrocytes.
It is concluded that different anionic exchangers exist in different cell
types that can be distinguished both by their biochemical properties and by
their pharmacological properties.
L'acidificazione intracellulare è associata ad un aumento di
trasformazioni morfologiche nelle cellule embrionali di criceto siriano
Lo studio indica che le cellule di criceto possiedono attività
regolatorie intracellulari, e che l'acidificazione cellulare gioca un ruolo
nell'aumento di frequenza delle trasformazioni osservate nelle cellule
coltivate in condizioni di acidità.
Cancer Res 1992 Jan 1;52(1):144-8 Related Articles, Books
Intracellular acidification is associated with enhanced
morphological transformation in Syrian hamster embryo cells.
LeBoeuf RA, Lin PY, Kerckaert G, Gruenstein E. - Procter and
Gamble Co., Miami Valley Laboratories, Cincinnati, Ohio 45239-8707.
A series of studies has indicated that the frequency of
morphological transformation induced by chemical carcinogens in early
passage Syrian hamster embryo (SHE) cells is significantly higher when these
cells are cultured in medium of reduced bicarbonate concentration and pH
(6.70) compared with cells cultured in medium of higher pH. It has also been
shown that intercellular gap junctional communication is decreased in these
cells when they are cultured at pH 6.70 compared with medium of higher pH.
The purpose of the studies reported here was to characterize the effect of
changing extracellular pH on intracellular pH in SHE cells. The frequency of
morphological transformation induced by benzo(a)pyrene was established at
various extracellular pHs and compared with intracellular pH values. Cells
cultured in medium of pH ranging from 6.70 to 7.35 were loaded with the
pH-sensitive fluorescent dye 2',7'-bis(carboxyethyl)-5,6-carboxyfluorescein,
and either the steady-state intracellular pH values or the kinetics of
change in intracellular pH following refeeding of the cultures with medium
of pH ranging from pH 6.70 to pH 7.35 was monitored via image analysis
techniques. Results from these studies indicate that, at culture medium pH
above 6.95, SHE cells were relatively insensitive to changes in
extracellular pH, maintaining an intracellular pH of 7.30 to 7.35 in medium
containing 0% serum or pH 7.05 to 7.10 in medium containing 20% fetal bovine
serum. At extracellular pHs below 6.95, intracellular pH decreased and, in
the presence of serum, equilibrated with extracellular pH. The decrease in
intracellular pH was closely associated with an increase in
benzo(a)pyrene-induced morphological transformation frequency observed in
parallel studies. These results indicate that SHE cells have active
intracellular pH regulatory activities and suggest that intracellular
acidification plays a role in the increased frequency of transformation
observed in SHE cells cultured under acidic conditions.
Dinamiche dell'attività bioelettrica del cervello e dell'
ultrastruttura eritrocitaria, dopo infusione di bicarbonato di sodio in
pazienti oncologici
Partendo dall'ipotesi di un'acidosi intracellulare
generalizzata, 23 paziente affetti da neoplasia in diverse sedi anatomiche e
di differenti tipi istologici, sono stati trattati con NaHCO3.
L'alcalosi metabolica ha indotto miglioramento nellEEG e nelle
alterazioni di aggregazione eritrocitaria.
Il risultato conferma l'ipotesi di partenza.
Biull Eksp Biol Med 1992 Apr;113(4):352-5
[Dynamics of bioelectric activity of the brain and erythrocyte
ultrastructure after intravenous infusion of sodium bicarbonate to oncologic
patients]. - [Article in Russian]
Davydova IG, Kassil' VL, Raikhlin NT, Filippova NA.
23 patients with malignant tumors of different location and
histogenesis were investigated. There were no metastases in 9 cases. 10
patients had metastases in regional areas and 4--distant. The results were
compared with those obtained in 4 patients with nonmalignant diseases. EEG,
blood gases, plasma acid--base balance and ultrastructure of erythrocytes
were explored before and after intravenous infusion of 4.2% sodium
bicarbonate solution. The metabolic alkalosis induced amelioration of EEG,
which was changed basically, the condense of pre-membrane layer disappeared
or decreased in erythrocytes, and disaggregation of erythrocytes took place
in cancer patients vs those with nonmalignant tumors. The results confirm
the suggestion of generalized intracellular acidosis in malignant tumor
patients. This acidosis can be temporarily avoided or diminished
artificially by blood alkalosis.
Liver Transpl Surg 1999 Mar;5(2):151-2 Related Articles, Books
Prolonged lactic acidosis after extended hepatectomy under in
situ hypothermic perfusion.
Davidson BR, Rai R. - Department of Surgery, The Royal Free
Hospital, London, England.
46-year-old woman underwent right extended hepatectomy under
total vascular occlusion with in situ hypothermic perfusion for colorectal
metastasis. Immediately after surgery, she developed severe lactic acidosis,
which required correction with sodium bicarbonate solution and ventilatory
support for 36 hours. After 2 days, her lactate normalized, and the acidosis
was corrected. She made an uneventful recovery. Persistent lactic acidosis
after major hepatic resection under in situ hypothermic perfusion is a rare
but reversible problem.
Cancer Res 1998 May 1;58(9):1901-8 Related Articles, Books,
LinkOut
Heterogeneity of intracellular pH and of mechanisms that
regulate intracellular pH in populations of cultured cells.
Lee AH, Tannock IF. - Department of Medical Biophysics, Ontario
Cancer Institute, Toronto, Canada.
Cells within solid tumors are known to exist in a
microenvironment that may be acidic and depend on membrane-based mechanisms
(Na+/H+ antiport and Na+-dependent Cl-/HCO3- exchanger) that regulate
intracellular pH (pHi). We have used the fluorescent pH indicator
2',7'-bis-(2-carboxyethyl) 5 (and 6)-carboxyfluorescein and flow cytometry
to study the distribution of pHi and the activity of these pHi-regulating
mechanisms among populations of murine mammary sarcoma (EMT6), human breast
cancer (MCF-7), and Chinese hamster ovary cells exposed to different levels
of extracellular pH (pHe). Cells were exposed to Na+ buffer in the presence
or absence of HCO3- and of 5-(N-ethyl-N-isopropyl)-amiloride (a potent
inhibitor of the Na+/H+ antiport) to determine the relative importance of
each exchanger in the regulation of pHi. Our results indicate that: (a) the
distribution of pHi at any value of pHe is broader than can be accounted for
by machine noise; (b) cells maintain levels of pHi that are higher than pHe
under acidic conditions; (c) the distribution of pHi is narrower when the
Na+-dependent Cl-/HCO3- exchanger is active; and (d) populations that are
derived from selected cells with values of pHi at lower and higher ends of
the pHi distribution generate pHi distributions that are similar to those of
controls, suggesting a stochastic variation in the activity of
membrane-based mechanisms that regulate pHi.
Our data suggest that the Na+-dependent Cl-/HCO3- exchanger is
the dominant mechanism for regulation of pHi under moderately acidic
conditions such as may occur in the microenvironment of solid tumors.
Ora, se c'è qualcuno che su base scientifica ha qualcosa da dire
pro e contro Simoncini lo dica, senza perdersi nei soliti esempi avulsi dal
contendere che hanno come unico scopo quello personale di essere più o meno
"fighi" nella discussione.
Che il tumore genericamente sia una disfunzione metabolica della
cellula è un fatto assodato da anni e non necessita di alcuna prova
accessoria, quindi qualunque terapia basata su un intervento a livello
metabolico merita attenzione e non di essere derisa, poi se volete
ridacchiare come sempre su tutto ciò che è innovativo fate pure ci siamo
abituati
però evitate tutti di dire delle minchiate di portata galattica
su questioni complesse
La chemio terapia è una barbarie del tipo lancio una bomba
nucleare per distruggere un formicaio che so si mangerà tutta una città,ma
alla fine avremo un sistema immunitario devastato e avremo fatto solo un
favore al tumore, quindi qualunque cura possa sostituire la chemio dovrebbe
essere ben vista e valutata con interesse e intelligenza dalle persone
oneste.
A.RB.EL